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17.02.2016 - GIUSEPPE PICCHIANTI

Ventimiglia: una città tra le pagine della letteratura...

Giornali, telegiornali, siti internet, offrono questi argomenti, nella speranza di trovare qualche lettore che, commentando, riesca ad offrire la migliore cura alla paralisi sociale, economica e culturale che attanaglia l'Italia.

Un attendere Godot, che, mai come questa volta, ritarda il proprio arrivo. Al di fuori di questi argomenti sembra oggi esistere il vuoto, un pozzo senza fondo o meglio, un'anfora da non aprire: non è il momento di canalizzare l'attenzione degli italiani su altri argomenti, meglio incentivare l'informazione quotidiana sulla crisi economica.

Tale situazione emozionale ovviamente è dovuta anche dalla crisi dell'informazione, molte volte non del tutto oggettiva, ognuno offre la propria tesi da seguire, senza però mai provare a cancellare l'incertezza del domani.

Cosa resta allora delle emozioni, delle sensazioni di ognuno di noi?

Un tramonto, un bagno al mare, la lacrima che scende quando leggi un libro che appassiona, le risate davanti ad un aperitivo con gli amici, oggi, tutte queste azioni, che fino a poco tempo fa ritenevamo abituali, inerenti alla vita di tutti i giorni, oggi sono diventate socialmente vietate, una legge non scritta sembra impedircele, considerate una perdita di tempo, poiché vi è altro a cui pensare, come i soldi che mancano o le difficoltà di trovare un posto di lavoro. Probabilmente il migliore verbo che esprime la causa della realtà odierna è solo uno: delegare. Purtroppo si è delegato e si continua a delegare le persone sbagliate. La società di oggi percepisce questo fardello della delega, che invade con il proprio esercito della frustrazione e dell'ansia la vita di tutti noi, che più e chi meno.

Sul settimanale " Sette " del Corriere della Sera, qualche mese fa, il giornalista Antonio D'Orrico presenta un reportage molto interessante " Quel che resta di un romanzo ": ritornare sui luoghi, sulle ambientazioni dei più grandi romanzi italiani del Novecento. Troviamo la " Via dei Cipressi " di Giosuè Carducci, il Palazzo " Donn'Anna " che ospitó il " Ferito a morte " di Raffaele La Capria, " La Pineta " dove D'Annunzio col suo imperativo " ascolta " invitava il lettore a fermarsi un attimo dai ritmi frenetici di una società, che si stava evolvendo, grazie alle rivoluzioni industriali e al miglioramento della vita, per percepire cosa la natura porgeva all'uomo moderno e continua ancora oggi ad offrire: i propri suoni e le proprie meraviglie, in cambio di un silenzio temporaneo, dove si annullano tutte le preoccupazioni. La letteratura allora può essere non solo una valvola di sfogo, sulla quale appoggiarsi per riprendere fiato, ma anche un utile strumento per migliorare il proprio ego ed espanderlo a nuovi orizzonti, lottando, in questo modo, contro le volontà odierne dell'immobilismo soggettivo e del primato della preoccupazione.

In Italia, come ben sottolinea D'Orrico, il turismo letterario non è tenuto molto in considerazione, non trova spazio ad esempio nelle più celebri guide turistiche e questo, senza ombra di dubbio, è un grande autogol, poiché sono tantissimi i cittadini italiani che ogni giorno lottano per tenere in vita nel migliore dei modi i segni della cultura, di cui il nostro paese è pieno e Ventimiglia, non da meno, può giocare anche lei questa carta, per incrementare il turismo dei romanzi e delle lettere.

Tanti sono stati gli autori italiani, moderni ed antichi, che hanno parlato di Ventimiglia. Il latino Igino, riportando un passo della trilogia del " Prometeo " di Eschilo, riferiva che " Ercole non combatteva contro un drago, ma contro i Liguri ... ", uomini fortissimi che abitavano il territorio presidiandolo e curandolo in maniera molto accurata. Ugo Foscolo visitò il nostro territorio in due viaggi, quello che gli fece scoprire Ventimiglia avvenne nel dicembre del 1799. Jacopo Ortis, pseudonimo dello scrittore stesso, nelle sue romanzesche lettere scrisse di Ventimiglia: " 19/02/1799.

Alfine eccomi in pace! Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per queste montagne. Non v'è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito de' viandanti assassinati. - Là giù è il Roja, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V'è un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell'Alpi altre Alpi di neve che s'immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde - da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi.

I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dì sormontati d'ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni? ". Dalla descrizione del paesaggio si comprende immediatamente che Foscolo conobbe il fiume Roya, la sua portata d'acqua quando i ghiacciai delle Alpi marittime si sciolgono. Il celebre poeta novecentesco Salvatore Quasimodo, impiegato al Genio Civile di Imperia ebbe la possibilità di conoscere il nostro territorio e grazie al suo impegno riuscì a costruire una parte della Alta Via dei Monti Liguri, oggi denominata Strada Militare, scrisse, nel mentre che soggiornava a Ventimiglia, una lirica intitolandola " La foce del fiume Roya ": " Un vento grave dottoni / mortifica il mio canto, e tu soffri a grembo aperto / la voce disumana. Da me divisa sautunna / ai moti estremi giovinezza e dichina. La sera è qui, venuta ultima, uno strazio dalbatri; il greto ha tonfi, sulla foce, amari, contagio dacque desolate. Levita la mia vita di caduto, esilio morituro. ". Negli anni Settanta venne posta una lapide sulla facciata di una casa prospiciente la foce, con l'intento di far proprio quelle parole e quelle emozioni. Gli ultimi due scrittori rientrano nella cultura di ogni persona che vive a contatto con i modi di fare, di pensare e di agire della città di confine: Francesco Biamonti e Nico Orengo. Penso alla " Curva di Latte ", uno splendido scorcio di una delle zone più belle di tutta l'Italia, qui Orengo, descrive la vita di alcuni personaggi legati alle tradizioni, ai costumi e alla parola del luogo, chi ancorato all'ideale comunista come Libero, ex comandante partigiano e oggi ( 1957, anno in cui si ambienta il romanzo ) caposezione del PCI, chi come Luciana, donna infedele, si intrattiene con Luisó, la maestra del paese, la Canzani, il maestro siciliano Puglisi, che sogna di cantare a Sanremo ed infine Jolanda, che porta avanti una gravidanza illegittima, ma che non si abbassa alla morale dell'epoca, anzi ostenta a tutti il proprio - pancione -. Per molti questo romanzo fa scorrere nelle vene la malinconia, di tempi che furono spensierati, semplici e senza troppi fastidi.

La letteratura probabilmente non risolverà le difficoltà quotidiane, però ha un pregio tutto suo: solo lei riesce a raccontare quello che soffriamo, quello di cui gioiamo o ci arrabbiamo, con parole, frasi, immagini ed emozioni calde, dense, talvolta imprevedibili o fastidiose che ci fanno capire che probabilmente sarebbe bene talvolta abbandonare i fastidi terreni e leggere questi racconti, questi romanzi locali: senza dubbio riprenderemo il cammino nella vita quotidiana con un altro spirito e con nuove convinzioni, per poter tornare a dire che l'uomo prima di tutto ha libero arbitrio, è razionale e romantico, impulsivo ma su tutto, umano, perché, come diceva Vittorio Arrigoni, oggi altro non abbiamo, se non " RESTARE UMANI ".

 

 

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